martedì 13 ottobre 2009

Il giorno del segretario

Dalla Rubrica tenuta da Enrico Moretti sul blog della giovanile di rimini

Rubrica “La sedia sdraio”

congresso2-1

Per capire come sarebbe andata a finire sarebbe stato sufficiente osservare come i tre candidati hanno raggiunto “l’arena” nella quale si sarebbero confrontati: la sala congressi dell’ Hotel Marriot, lussuoso resort fuori dallo spazio, piantato sul raccordo anulare in direzione Fiumicino, di fronte al palazzo dell’Alitalia.

Marino arriva per primo, alle dieci e un quarto, praticamente puntuale, come gli alunni il primo giorno di scuola. In fondo, per lui, in un certo senso lo è. Bersani arriva subito dopo. L’auto quasi sgomma davanti all’ingresso, lui salta fuori e si infila nella hall. Sicuro, ma al tempo stesso come infastidito da qualcosa. L’ultimo è Franceschini. La grossa berlina con i vetri oscurati si ferma in mezzo al piazzale, accanto ad essa l’auto di scorta. Scende con calma. Sa cosa deve fare.

Bersani parte avvantaggiato, ha dalla sua parte più della metà degli iscritti e quindi, almeno in teoria, più della metà della platea che ha di fronte. Eppure decide di non sfruttare questo fatto. Il suo è un discorso sicuramente razionale, ordinato, che analizza il presente e mette in fila proposte, ma non scalda, non coinvolge, non prende, non fa mai scattare un applauso convinto e liberatorio. Si mantiene lineare, senza enfasi, quasi come fosse una semplice relazione. E’ un discorso che mette in luce l’amministratore e nasconde il politico, che fa apprezzare il ministro e fa rimanere dubbiosi sul segretario.

Franceschini, al contrario di Bersani, sa di dover recuperare, sa di essere in svantaggio, sa che se vuole vincere da qui al 25 ottobre dovrà sparigliare le carte, alzare il livello dello scontro e della polemica, per portare più gente possibile alle primarie. Non ci sta a passare per moderato, vuole smontare il giochino che vede Bersani rivolto a sinistra e lui rivolto al centro. Non vuole lasciare a Marino la prateria dei diritti civili. Vuole presentarsi come il nuovo, come colui che farà opposizione dura e pura. Ha due bersagli davanti a sé, mentre parla: Berlusconi e D’Alema. Li colpisce tutti e due ripetutamente, forte. Prende tanti, tantissimi applausi, fino alla standing ovation finale. L’abbiamo detto: sapeva cosa doveva fare. L’ha fatto.

Marino deve fare i conti con l’emozione. E’ un diesel. Parte piano, non aiutato dalla sala che si sta leggermente svuotando e dalle porte che perciò sono aperte e disturbano l’atmosfera. Sconta anche la scelta del discorso scritto al posto di un’orazione a braccio, sicuramente più coinvolgente. Strada facendo si sblocca, lo soccorrono le idee della mozione, ripetute tante volte in tanti incontri. E’ un bel discorso il suo, tocca tutti i punti che deve toccare, dal merito alla laicità, dalla forma-partito alla scuola, dalle alleanze al lavoro; si tinge di ecclettismo nelle citazioni, che vanno da Che Guevara al cardinal Martini; lascia l’impressione di una persona preparata.

Insomma, mentre si esce dalla hall e si torna sul piazzale dell’Hotel non si hanno dubbi: è stato il giorno del segretario. Chissà se lo sarà anche il partito.

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