mercoledì 31 marzo 2010

Spunti

Ancora sulle regionali, riflessioni raccolte qua e là da Enrico Moretti.

Cominciamo dal fenomeno Grillo, con questa lettera riportata da Concita de Gregorio nel suo editoriale di oggi su “l’Unità”: «Ho votato Grillo per stanchezza, per desiderio di cambiamento senza grosse aspettative, per dare un segnale al Pd, perché stanca dei soliti meccanismi di potere. Non credo che il Movimento 5 stelle abbia tolto la “manciata utile”: se non ci fosse stato, non avrei votato. Lavoro in una biblioteca trasformata in istituzione dal sindaco Cofferati a fine mandato. Viviamo una situazione di abbandono senza precedenti dopo essere stati il fiore all’occhiello con Bologna capitale della cultura. Non riesco più a porgere l’altra guancia. Sono convinta che la manciata utile l’abbiano buttata nel cestino le mani che stanno smantellando il “modello emiliano” un pezzo alla volta, candidando personaggi impresentabili. A loro preferisco gli ingenui, gli inesperti: rappresentano di più il mio smarrimento, la mia confusione, il mio desiderio di cambiamento».

Ancora dallo stesso editoriale: “ Questo è un voto di delusione e di rabbia [...] verso un centrosinistra che ha disatteso le aspettative. Che rispetto a quel che l’elettorato chiedeva non ha avuto abbastanza coraggio: di cambiare la sua classe dirigente, di puntare sul rinnovamento, su logiche nuove e non solo su somme aritmetiche di alleanze possibili, su un progetto chiaro semplice e alternativo che fosse anche – come dice Vendola – un nuovo «racconto»”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il direttore de “la Repubblica”, Ezio Mauro: “il Pd si è esercitato principalmente [...] nella costruzione di un “meccano” di alleanze, come se la politica fosse riassumibile dalla sola aritmetica, e come se l’identità e la natura di un partito non fossero più importanti di qualsiasi tattica. Gli elettori non sanno se il Pd è un partito laico, in un Paese in cui la Chiesa si muove come un soggetto politico; non sanno se è una forza di opposizione, con tutte le offerte di dialogo che alcuni suoi uomini specializzati rivolgono quotidianamente al Cavaliere, qualunque cosa accada; non sanno nemmeno se è di sinistra, in un Paese in cui la destra – e destra al cubo – mostra il suo vero volto in ogni scelta politica, istituzionale o sociale.

In più, c’è un problema di selezione delle élite, di politica dei quadri, di scelta dei candidati. Che senso ha candidare Loiero in Calabria, per poi fermarsi al 32 per cento? E che senso ha la guerra a Vendola, governatore uscente maledetto dal partito pochi mesi fa senza una ragione logica, e oggi salutato come il vincitore delle regionali da chi lo ha combattuto? La realtà è che il Pd ha un senso se è un partito nuovo non solo dal punto di vista delle eredità novecentesche, ma anche nella forma, nel metodo e nel carattere: un partito forte ma disarmato, nuovo in quanto scalabile, aperto perché contendibile”. Conclude poi Mauro: “C’è parecchio lavoro da fare… . Non ultimo, cercare un leader che possa sfidare il Cavaliere e vincere, come avvenne con Prodi: e cercarlo in libertà, anche fuori dai percorsi obbligati di età, di appartenenza e di nomenklatura. Forse, anche a sinistra è arrivata l’ora di un Papa straniero”.

Il “Papa straniero”, presumibilmente, è Vendola (così lo definiva anche Maltese ieri sempre su Repubblica). Ora, secondo me, come ha scritto Laura nei commenti di ieri, non si tratta di mettersi a lavorare per segare Bersani e sostituirlo con Vendola; qui si tratta di capire che il Pd ha bisogno di una robusta iniezione di contenuti, contenuti che Vendola (e Grillo) stanno rappresentando.

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